Abbazia di Santa Maria La Nova

L'abbazia di Santa Maria La Nova ha origini antichissime. Per meglio raccontare la sua storia c'è bisogno di un balzo indietro nel tempo di 1700 anni circa, nonostante in maniera indiretta, gli albori sono datati inizio del 400 d.C. quando Alarico, capo dei Visigoti, rase al suolo il Tempio di Apollo ivi presente, edificato secoli prima. 1
La primordiale struttura fu innalzata verso Est così da volgere la facciata dinanzi alle prime luci del giorno, secondo il volere dell’ aristocratico Plotino, edificatore del Tempio all'epoca della 212° Olimpiade dell'epoca antica, tristemente nota per i numerosi sacrifici umani che si compirono nella sua storia.2
La chiave di volta si ebbe a seguito della dipartita di San Benedetto, il 21 febbraio 547 nel convento di Montecassino.
Dopo la sua morte si ebbe a promuovere l'edificazione di badie in onore del suo nome e nel suo insegnamento.
Nel 542 San Placido insieme ad altri monaci benedettini si recarono in Sicilia e al loro ritorno fecero tappa a Campagna per predicare il credo benedettino.
Grazie a questo evento, nel 560, nei pressi dell'antica chiesa dedicata a Santa Maria in Furano vi fu la costruzione dei locali per il primitivo cenobio.
Furono usati i resti del Tempio di Apollo per erigere le prime mura e, precisamente nel 769 d.C., fu fondata ufficialmente l'Abbazia dei Benedettini di Campagna, inglobando e ristrutturando le antiche fabbriche del 570 nelle quali (non ancora monastero ma luogo di raccolta per gli indigenti) fu accolto fanciullo - prima di partire per Montecassino - il futuro patrono della Città, Sant'Antonino Cacciottolo, il quale abitava nelle vicinanze e rimasto prematuramente orfano di entrambi i genitori. Nello stesso anno il frate di nome Pellegrino, divenne il primo abate dell’abbazia campagnese, strettamente collegata a quella di Montecassino.
Il convitto ebbe fin da subito vita attiva e propositiva, tanto che nel periodo storico che va dall'800 al 900 era considerato e apprezzato come rinomato Centro Studi.
Nell'818, dopo aver dimorato per lungo tempo, i benedettini abbandonarono la loro abbazia per sottrarsi all'assalto dei Longobardi; scampato il pericolo vi fecero ritorno nell'823.
Come già detto, la struttura era fortemente legata a Montecassino, connessione che durò fino al 938 quando a Campagna venne ufficializzato l'Ordine, passando sotto la direzione dell'abbazia di Salerno. 3 In quegli anni iniziò anche un'attività di pubblicazioni di testi e manoscritti, come quando nel 980 il frate Pietro da Fondi pubblicò una pergamena intitolata "Vita di Sant'Antonino".
Anni più tardi, intorno all'anno 1000, si verificò un accadimento di assoluta importanza nella storia della nostra Città: i monaci venuti a conoscenza della distruzione dell'abbazia di Montecassino per opera delle scorrerie di quell'epoca, si attivarono fin da subito per recuperare e traslare a Campagna la Colonna Taumaturgica usata dal Santo per flagellarsi contro gli attacchi e tentazioni del Maligno.
La situazione socio-politico-bellica ha sempre influito in modo sostanziale la vita della struttura: vide, infatti, diversi abbandoni e l'ennesimo si verificò tra il 1000 e il 1100 quando i frati di Santa Maria la Nova dovettero lasciare e trovare rifugio presso il monte Palmentara a causa della devastazione saracena prima e poi normanna, erigendo nel contempo il convento dell'eremo di San Filippo e San Giacomo.
Nel 1076 Roberto il Guiscardo, primo principe normanno dopo una lunga dinastia longobarda 4, su istanza di Aldemario, vescovo di Sant'Angelo, ordinò per le antiche fabbriche del convento lavori di restauro su larga scala; queste opere cambieranno radicalmente l'aspetto e la forma modificandone anche la direzione della facciata, non più ad Est così come in origine.
La struttura, ancora, dovette subire periodi di incuria e abbandono: nel dicembre del 1213 i frati si spostarono nella badia di Cava de’ Tirreni.
Nel 1220 invece, si ebbe la ristrutturazione e l'ingrandimento sia della chiesa che delle antiche fabbriche: questa operazione portò al cambio di denominazione in Santa Maria la Nova, attualmente in suo.
Altro avvenimento di assoluta importanza si verificò il 13 dicembre del 1258 quando la colonna di Sant'Antonino fu portata nella chiesa di Zappino nell'odierno Centro Storico, da sempre luogo sicuro ed arroccato del territorio. Tale operazione probabilmente si compì per salvaguardare il sacro reperto, visto l'ennesimo abbandono, nel medesimo anno, da parte dei monaci per sfuggire ancora alle scorribande dei Barbari e dalla diffusione della malaria.
Da ricordare, inoltre, una nuova pubblicazione sulla vita del Santo Patrono pubblicata nel 1300 ad opera di un monaco cassinese, e la morte nel 1462 dell'ultimo abate, il nostrano Francesco Santillo 5, l’ultimo benedettino ad aver retto l'abbazia per molti anni. Successivamente, divenne commanderia cavalleresca affidata al comando di Orlando Orsini nel 1468 6, all'epoca insignito dell'Ordine dei Minimi.
Quest'ultimo, poco dopo, fu eletto vescovo di Nola e passò il testimone di commendatario a Luigi Guerriero (zio di Melchiorre) e da questa occasione nacque un legame profondo tra la nobile famiglia e l'abbazia che le assicurerà vita lunga e sicura nel tempo.
Questa conversione al nuovo ordine, probabilmente, fece sì che il 2 febbraio 1483 San Francesco da Paola, ritenuto un guaritore, fu inviato in Francia su pressioni del Papa convocato da Luigi XI, nel frattempo gravemente ammalato. In viaggio verso la corte reale, fece sosta nel convento di Santa Maria la Nova.
Nel 1514 il monastero fu temporaneamente soppresso per costituire i beni per la mensa della costituente Collegiata di Santa Maria della Pace. Possiamo con convinzione asserire che anche questa struttura diede il suo contributo a compiere il piano di accrescimento dettato dal Guerriero, giocando un ruolo chiave sia in termini logistici che di rendite future.
Nel 1516 invece, il conte feudatario Ferdinando Orsini e i canonici reggenti, affidarono il convento ai Minimi di San Francesco da Paola. Ciò favorì l'interessamento, sempre di Melchiorre Guerriero, speciale procuratore dei Paolotti, di un sostanziale e risoluto rifacimento della struttura con l'aggiunta di nuovi ambienti senza alterare però la forma dell'intera struttura. I lavori andranno spediti nell'arco temporale di 4 anni: nel 1520, a ricordo della fine della ristrutturazione, venne apposta una lapide commemorativa al suo interno e si concesse la gestione ai frati francescani a Santa Maria la Nova. A seguito della morte del nobile campagnese nel 1525, il complesso fu arricchito da un cospicuo lascito bibliotecario, a testimonianza ulteriore su quanto il Conte Palatino ci tenesse a questo luogo.
Nel 1590, Giulio Cesare Capaccio, altro illustre personaggio storico di questa Città, scrisse a Michele Guerriero (parente del sopracitato Melchiorre, il quale nel frattempo acquisì lo juspatronato dallo zio sull'abbazia), dove lo esortava a non prendere in considerazioni le richieste, al quanto azzardate, di abbattimento e di ricostruzioni che avanzavano i Paolotti. Quest'ultimi ritenevano che la struttura fosse "troppo vecchia" e non conforme alle loro necessità quotidiane. 7 Il Capitolo Cattedrale, le autorità cittadine e il Guerriero, nel 1591 diedero parere negativo e, probabilmente, fu questo che scaturirà il pretesto per l’abbandono della struttura per recarsi nel nascente ospedale di Sant'Antonio (ove oggi è presente la Caserma dei Carabinieri) per prestare cure ai malati. Sta di fatto che il convento a seguito di questa faccenda passò alle dirette dipendenze del Capitolo.
Nonostante un breve ritorno dei francescani e il conseguente abbandono definitivo di Campagna dei monaci, da li a poco il convento subì un periodo di lungo abbandono al quale solo diversi anni dopo si pose rimedio. Infatti, nel 1721, il vescovo della nostra diocesi, Mons. Saverio Fontana, durante una sua visita pastorale, venuto a conoscenza che molti secoli prima qui visse Sant'Antonino, constatato il grado di abbandono e le pessime condizioni in cui versava l’edificio, volle ristrutturalo a sue spese arricchendolo anche di arredi sacri.
Contestualmente l'alto prelato seppe anche di antiche suppliche legate ai difficili secoli trascorsi: i campagnesi infatti invocavano Dio supplicandolo di mettere un freno alle continue invasioni e distruzioni e che se avesse interceduto verso di loro si sarebbero attivati per instituire un cammino di penitenza dalla struttura alle chiese dove era custodita la colonna del santo campagnese.
Fu così quindi che Fontana mantenne l'antica promessa e istituì la solenne processione del Lunedì in Albis, la quale si svolge tutt'ora oggi, con lo spostamento e realtiva processione della Madonna della Neve e di San Francesco da Paola per 15 gioni nella struttura di Santa Maria la Nova per farvi ritorno subito dopo.
Nel 1891 l'ormai ex convento di Santa Maria la Nova, a seguito dell'incameramento dei beni ecclesiali da parte dello Stato, fu messo all'asta e l'anno seguente fu venduto. I campagnesi, però, non si arresero e l'aprile dello stesso anno con un comitato composto dal Capitolo, dal Comune e dalla Confraternita della Madonna della Neve, con i soldi dei cittadini riacquisorono di nuovo la proprietà dichiarandola di demanio comunale. Iniziarono così gli adempimenti per fondare una nuova parrocchia che si facesse carico delle anime dei cittadini. Da subito si pensò a renderla autonoma rispetto al Capitolo e, nel 1931, il Mons. Carmine Cesarano gettò le basi elevandola a vicaria affinchè Mons. Palatucci potè dichiararla nell'aprile del 1959.
Ulteriori lavori si resero necessari all'alba seguente del 23 novembre del 1980 quando il terremoto che colpì l'Irpinia recò danni ingenti alla struttura, danni che costarono la ristrutturazione durata 10 anni. Solo nel 1990 l'arcivescovo di Salerno, Mons. Grimaldi, benedì l’edificio e il bellissimo affresco del compianto artista e cittadino Nino Aiello, posto alle spalle dell'altare, raffigurante l'apparizione della Madonna di Fatima ai tre pastorelli. Oggi la chiesa si presenta con un bellissimo chiostro d'ingresso risalente al XVI secolo, un vano scale del XVI secolo e il piccolo cenobio a navata unica arricchito dal dipinto poco anzi descritto.
Testo a cura di Cristian Viglione.
Revisioni: Francesco Pezzuti.

BIBLIOGRAFIA:
1. Valentino Izzo - Raccontare Campagna...Le fabbriche religiose. pag. 114 - VOL. M - 2004
2. Valentino Izzo - Raccontare Campagna...Le fabbriche religiose. pag. 115 - VOL. M - 2004
3. Valentino Izzo - Raccontare Campagna...Le fabbriche religiose. pag. 115 - VOL. M - 2004
4. Valentino Izzo - Raccontare Campagna...Le fabbriche religiose. pag. 114 - VOL. M - 2004
5 Valentino Izzo - Raccontare Campagna...Le fabbriche religiose. pag. 116 - VOL. M - 2004
6. Valentino Izzo - Raccontare Campagna...Le fabbriche religiose. pag. 116 - VOL. M - 2004
7. Valentino Izzo - Raccontare Campagna...Le fabbriche religiose. pag. 119 - VOL. M - 2004

 

 

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