Chiesa e convento di San Bartolomeo.
La storia del convento di San Bartolomeo inizia nel 1259 quando alcuni frati domenicani raggiunsero Campagna per predicare il Santo Vangelo. Accolti con calore e con onore dagli abitanti dell’epoca, chiesero ed ottennero dal castellano il permesso di potersi stabilire definitivamente in questi luoghi e vivere in poveri pagliai, quartiere denominato poi Pagliara, il quale si trovava a ridosso dei casali costeggianti il Castello Gerione.
Lo scopo dei frati, fin da subito, fu quello di donare sollievo spirituale al popolo campagnese. La loro storia e il loro legame con Campagna, anche se in maniera indiretta, inizia sicuramente nel 1228 (ma possiamo di certo asserire che vi era presente già prima), anno in cui appare per la prima volta in un documento ufficiale la chiesa di Santa Maria. Questa sorgeva dove attualmente vi è la Chiesa di San Bartolomeo e qui vi era una chiesetta-cimitero a forma ovale, adibita principalmente a luogo di sepoltura dei nobili campagnesi, così come risulta da vari storiografi locali e dai sepolcri eretti ad uomini illustri, celebri nelle arti e nelle scienze. È proprio in questa chiesa che dal 1277 i frati possedevano un cenobio, così come scriveva lo storico campagnese Rivelli.
Con il passare dei decenni, il Tempio iniziò a perdere l’antica importanza a vantaggio dell'ampliamento dei quartieri che si trovavano più a valle del castello Gerione, come i quartieri di Zappino, della Trinità e della Giudeca. I sacerdoti iniziarono, quindi, a non frequentarla più come in passato, avendo a disposizione chiese più comode che nel frattempo erano sorte, situate anche più vicino alle loro famiglie. A rafforzarne il declino fu quando si manifestò un sostanziale abbandono dai conti di Campagna.
Esempio su tutti, quando i coniugi Del Balzo - D’Apia si trasferirono dal castello Gerione al loro palazzo costruito dinanzi alla chiesa dell'epoca Santa Maria della Giudeca. Nel 1400 fu sancito il definitivo abbandono. La chiesa rimase con un solo sacerdote e, per questo motivo, i Domenicani la chiesero ripetutamente in uso per potervi costruire accanto un grande cenobio più vicino alla popolazione che, nel frattempo, si era allontanata dagli antichi casali e dal Castello.
Nel 1437, il conte Francesco Orsini, sotto il cui dominio si combatte una guerra contro Eboli conclusasi nel 1457 con la vittoria dei campagnesi, erige il contado di Campagna e i Domenicani si rivolgono a lui per perorare presso il Papa Eugenio IV la richiesta ed ottenere la Chiesa di San Bartolomeo, costruendo un imponente convento sul vecchio, e mai ultimato, cenobio. Solamente nel 1449 si ha la bolla di erezione del convento da parte del papa Niccolò V: inizia così l’opera facendo demolire gli antichi fabbricati al fine di far sorgere l’attuale chiesa e l’imponente e maestoso Monastero, affidando la direzione dei lavori a Pietro Viviani e a Giacomo De Chiara.
Su questa fu costruita, con l’autorizzazione e l’aiuto economico del feudatario dell’epoca, la chiesa di San Bartolomeo, situata in una zona più comoda rispetto alle altre chiesette e di passaggio obbligato per gli abitanti presenti, fornita di un grande e fertile appezzamento di terreno. Fra il 1571 e il 1572 vi compì il noviziato Giordano Bruno. Il convento divenne sede dello Studio Generale, un'odierna università che si occupava di studi filosofici, letterari e teologici per la nobiltà locale. Fra i suoi allievi vi furono Marco Fileta Filiuli, Giovanni Antonio De Nigris e Giulio Cesare Capaccio. Nel 1712 i PP. Domenicani restaurarono la Chiesa ed abbellirono il soffitto ligneo, interamente decorato con oro zecchino intarsiato ed intagliato ad ampie volute floreali e stemma con la scritta: “ANNO REPARATAE SALUTIS MDCCXIII”.
I frati lavorarono incessantemente e ne ebbero cura fino all'unità d’Italia. Dal 1878 al 1927 il convento venne utilizzato dal Distretto militare di Campagna come caserma mentre la chiesa rimase come parrocchia. Tra il 1940 e il 1943 la struttura venne destinata a campo di internamento, oggi Museo Itinerario della Memoria e della Pace – Centro studi Giovanni Palatucci, per circa 369 detenuti inglesi e francesi, ebrei italiani, ebrei stranieri, apolidi, tedeschi, austriaci, polacchi, fiumani, cecoslovacchi e jugoslavi.
La chiesa si presenta a croce latina con facciata a due portali in pietra: quello principale e a destra quello dell'oratorio della confraternita del SS. Rosario. L'interno è costituito da un ambiente rettangolare con due cappelle laterali, da una abside quadrata definita da un arco a tutto sesto e coperta da volta a crociera priva di qualsiasi elemento decorativo. L'aula è ornata da quattro edicole con stucchi in stile settecentesco. La cappella sinistra presenta stucchi ottocenteschi e un altare al di sopra del quale si eleva una nicchia con marmi, datata 1815, in cui trova posto la statua della Madonna. L'altare ligneo è, invece, un’opera del secolo XVII che custodisce il Crocifisso velato denominato SS. Nome di Dio.
ORIGINI DEL CROCIFISSO
Il Cristo Velato presente nella chiesa ha origini antichissime. Nicolò de Nigris, storico campagnese del passato, narrava di Giorgio Iorio, eremita che nell'anno 1236 si recò in una caverna e per rendere omaggio e contemplare la passione di Cristo, scolpì - anche se inesperto - una testa di Gesù morente, riuscendo a dare al volto una suggestiva espressione di dolore ma al contempo anche serenità, sbalordendo ancora oggi chi lo ammira.
Nel corso degli anni a seguire, probabilmente dopo che la notizia si era sparsa tra le popolazioni, fu oggetto anche di deturpazioni e di dispute: si narra, ancora, che un gruppo di malintenzionati originari dei monti Alburni era deciso a prenderne possesso e, giunto nell'antica e primordiale chiesa di Santa Maria non trovando la scultura, deturpò il crocifisso presente, decapitandone la testa e nascondendola sotto la chiesa di san Francesco nella vicina Eboli.
Il Crocifisso versò in quello stato per molti anni e solo nel 1387 il priore dell'epoca dei frati domenicani decise di deporre la testa scolpita dall'eremita sul corpo della statua profanata. Questa tra lo stupore generale dei presenti rimase fissa in maniera perfetta, come se la si fosse pensata appositamente per la sacra effige, tanto da far esclamare subito al miracolo.
Altro evento da annoverare nella gloriosa storia del Crofisso, è legato alla visita di San Berardino da Siena a Campagna per sedare le diatribe interne agli ordini campagnesi. Portato al suo cospetto, San Bernardino rimase talmente folgorato dalla sua maestosità che perse i sensi. Una volta rinvenuto al suo risveglio esclamò la parola “Santissimo Nome di Dio!”, chiedendo ai presenti che da quel momento in poi lo si venerasse con quel nome.
Diede, inoltre, disposizioni di vestirlo di colore rosso, rendendolo così un rarissimo esempio italiano di raffigurazione di Gesù in stile spagnolo ma comunque molto diverso e più suggestivo dalle più canoniche raffigurazioni presenti nelle nostre zone. Il SS. Nome di Dio è un santo molto venerato e sentito dai campagnesi e dagli abitanti dei comuni limitrofi.
Le venerazioni a lui dedicate sono ogni venerdì della settimana e si porta in processione ogni sette anni o per invocazione di grazia legate a calamità atmosferiche, quali siccità estrema o abbondanti piogge.
Testi estratti e rielaborati dalle pubblicazioni e ricerche del compianto prof. Carmine Vivone, al caro Carmine va il nostro pensiero e il nostro ringraziamento per quanto fatto nella sua esperienza terrena.
Testo a cura di Cristian Viglione.
Revisioni: Francesco Pezzuti.
Trailer del secondo episodio del format "Piacere, Campagna." riguardante la chiesa e il convento.