Custodi millenari della nostra storia.
Se c'è un merito che va attributo per la conservazione dei nostri tesori, della nostra storia, della nostra identità, questo merito va alle Confraternite di Campagna.
Già, va dato a loro, unici e veri cavalieri al servizio della nostra vita attraverso i secoli, da sempre fedeli e leali ai nostri avi, i quali, carichi e colmi di onori hanno saputo tramandare a noi e alla future generazioni le gesta di grandi uomini del passato. Se Campagna è in grado di raccontare e mostrare storia, è solo merito di chi, nel corso dei secoli, ha saputo custodire quanto di grande è stato fatto.
Confraternita di Santa Maria della Neve
Fu fondata il 13 dicembre del 1258 ed è la più antica Confraternita di Campagna e una delle più antiche confraternite mariane d'Italia.
Essa fu costituita per iniziativa del sacerdote don Giovanni Belbuono, sollecitato principalmente dal marchese di Campagna Ercole del Balzo, subito dopo che fu trasferita la colonna di pietra di Sant'Antonino dall'abbazia di Santa Maria la Nova nella chiesa del SS. Salvatore, di cui era parroco il Belbuono stesso, accadimento che lo si può evincere dall'atto notarile del giudice Pirro Geminelli del 13 dicembre 1258.
Dal documento notarile di trasferimento si può costatare anche i vari accordi che vennero stipulati con i monaci, venne stabilito infatti, sia la co-intitolazione della chiesa con l'aggiunta di Sant'Antonino, sia il giorno dei festeggiamenti, cioè il 14 febbraio di ogni anno come si era fatto fino ad allora, giorno del pio transito del Patrono campagnese.
Il feudatario campagnese ricompensò largamente i monaci di persona con denaro e viveri. La colonna fu trasferita a Campagna grazie a tre devoti campagnesi, Pietro De Risi, Andrea Ciminelli e Bartolomeo Principato, fu collocata nella cappella di Sant'Antonino, con la primordiale statuta a lui dedicata composta da gesso colorato, secoli più tardi verrà sostituita dall'attuale, scolpita dall'artista napoletano Nunzio Maresca nel 1601. La colonna rimarrà sempre nel posto dove fu allocata fino al 1862, anno in cui furono eseguiti dei lavori al cappellone della chiesa.
La confraternita fece ornare di marmo i balaustri che conservavano la colonna e l'altare con la statua per dare maggiore prestigio alla devozione del santo.
Il sodalizio, da sempre attivo nel tramandare il culto e in innumerevoli opere di carità cristiana, esercitò le sue funzioni fino al 1458, anno in cui si sfasciò per causa della guerra in atto e del terribile morbo della peste che affliggeva la popolazione in quegli anni, questa interruzione causò un lunghissimo fermo alle proprie attività durato quasi un secolo.
Fu ricostituita il 22 aprile del 1548, quando Antonello Ciminelli, Gio. Francesco Guerriero ed Annibale Carrione furono nominati procuratori della confraternita per stipulare una nuova convenzione col Capitolo, al quale era stata affidata precedentemente la chiesa del SS. Salvatore.
Il nuovo accordo fu stipulato alla luce delle esigenze della nuova e ricostituita confraternita e secondo lo spirito dei tempi nuovi: Comprendeva la richiesta degli antichi privilegi sulla cappella della Madonna della Neve, che era stata affidata al capitolo insieme con la chiesa della SS. Trinità. La convenzione fu stipulata dal Notaio Alessandro Masilotti il 13 maggio 1548.
Tra i vari punti, furono stipulati oltre che i diritti, anche il doveri dei confratelli, i quali prevedevano: Il decreto di assistere i moribondi, gli ammalati e i condannati a morte, oltre che di far fronte a tutti i bisogni della chiesa di Zappino ubicata nell'odierna piazza Giulio Cesare Capaccio, sia in opere che in suppellettili.
La confraternita, tornata ampiamente operativa anche nel tessuto urbano e sociale, contribuì a dotare il Seminario di Campagna, quando fu instituito nel 1722 da mons. Francesco Saverio Fontana, con la cospicua somma di 1051 ducati, quattro case, un oliveto in località San Felice e un territorio seminativo di 15 tomoli di terra in loc. Castrullo.
L'alto prelato nel 1720 in visita all'abbazia di Santa Maria La Nova - dopo essere venuto a conoscenza che molti secoli prima aveva vissuto il suo noviziato Sant’Antonino - e considerate le pessime condizioni in cui versava, la fece restaurare a proprie spese dotandola di preziosi arredi sacri. Nel 1772 terminati i lavori di ristrutturazione istituì la processione del Lunedì in Albis. Processione che ancora oggi si svolge regolarmente, vide la Confraternita di Santa Maria la Neve protagonista del pellegrinaggio, ma anche nei lavori principali di organizzazione della stessa.
Nel 1768 i sodali fecero fondere la statua in argento di Sant'Antonino con contributi propri e dei fedeli campagnesi, accordo stipulato durante l'assemblea pubblica, tenuta il 21 maggio del 1769 nell'allora sedile di San Bernardino da Siena presente nell'odierna piazza Melchiorre Guerriero.
Nel corso dei secoli ha sempre mantenuto i propri culti statutari rinnovati nel tempo e nello spirito.
Testo a cura di Cristian Viglione.
Basato ed estrapolato dall'opera di Raffaele D'Ambrosio "Le Confraternite di Campagna attraverso i secoli.". Anno 1984
Confraternita di Santa Maria del Soccorso
La confraternita dei Cinturati di Santa Maria del Soccorso, vanta un'origine assai remota, è per antichità la seconda confraternita più antica di Campagna, essendo stata fondata nel 1393, oggi ubicata nella chiesa del Santo Spirito e dell'Ex Seminario, un tempo sorgeva dove i monaci agostiniani la fondarono, nel primordiale quartiere dedicato a Sant'Agostino.
Per un lasso di tempo, fino al post terremoto del 23 novembre del 1980, ha avuto la sua dimora nella chiesa dell'Annunziata, cappella del nuovo Monastero Agostiniano , oggi Palazzo di Città, voluto principalmente da Ugo Sanseverino, signore di Campagna, il quale intercesse con i coniugi Del Balzo-D'Apia per scambiare le proprie residenze con i frati, ubicati nel predetto quartiere intitolato al santo dottore della chiesa cattolica.
Da sempre devota a Santa Monica, madre di Sant'Agostino, agli inizi della loro storia, raccolsero molti giovani per animarli, con l'esercizio di alcune pratiche religiose, al culto della Vergine Santissima e all'ossequio di Santa Monica, in poco tempo il numero dei predetti divenne assai grande, tanto da mobilitare due nobili campagnesi, Michele Tercasio e Benedetto Belbuono ad erigere una regolare confraternita per avere una norma durante le loro riunioni.
La confraternita da sempre attenta e sensibile al tessuto sociale campagnese, contribuì con 110 ducati, tre oliveti, con beni sparsi sul territorio campagnese all'istituzione del Seminario, note presenti nell'atto notarile del 24 agosto del 1722 redatto da notaio Francescantonio Giordano.
Nella primordiale chiesa annessa alla confraternita, la chiesa dell'Annunziata, aveva un proprio altare, il quale è servito per officiare le proprio funzioni fino al 1807, quando con il decreto reale di soppressione dell'ordine agostiniano, si dovette "ridimensionare" officiando nell'abside della chiesa.
Molti accadimenti importanti hanno accompagnato la vita della confraternita, come quando il 23 aprile del 1625 si recò a Roma per il Giubileo con a capo l'allora priore Giuseppe Mantenga, facendovi ritorno solo il 20 maggio seguente scandendo la vita severa a cui erano sottoposti i sodali, essendo stata affiliata all'ordine dei SS. Eremiti di Sant'Agostino per la sua aggregazione all'Arciconfraternita dei Cinturati.
Aggregazione che fin dagli albori ha concesso grandi privilegi di indulgenza. La Confraternita da sempre ha come missione principale l'aiuto agli indigenti e ai più bisognosi, fin dagli albori si è contraddistinta per fornire pronto soccorso alla cittadinanza anche in casi di calamità naturali tenendo fede alla dedica della Santa Vergine del Soccorso, potendola definire tranquillamente una "primordiale" Protezione Civile del passato, ha un proprio statuto datato 1777 approvato dal re dell'epoca, Ferdinando IV di Borbone.
Come già accennato, la pia aggregazione oggi ha sede nell'ex Seminario diocesano, custode e fautore dell'ipogeo delle suore benedettine di clausura, ex convento voluto dal nobile Melchiorre Guerriero che ospita i resti mortale delle sorelle che lo abitarono, riportato alla luce nel 2007 dai confratelli stessi dopo una lunga serie di lavori effettuati in collaborazione con le autorità cittadine ed ecclesiali.
Testo a cura di Cristian Viglione.
Basato ed estrapolato dall'opera di Raffaele D'Ambrosio "Le Confraternite di Campagna attraverso i secoli.". Anno 1984
Confraternita del SS. Nome di Dio
La storia della Confraternita del Cristo Velato, sebbene affonda le radici in epoche assai remote, ha origine nel 1538, anno della sua prima fondazione.
La storia inizia a prendere forma quando un gruppo di monaci domenicani giunse a Campagna nel 1259 per predicare il Santo Vangelo e donare supporto spirituale agli indigenti e gli ammalati, i monaci, colpiti dal calore e della benevolenza del popolo, decisero di restare a Campagna previa concessione del feudatario di Campagna, Ercole Del Balzo, Signore di Campagna, diede il suo assenso.
I frati, per scelta di vita, vivevano in condizioni di povertà e chiesero di stabilizzarsi in modesti e poveri pagliai presente nel quartiere della Pagliara, nell'odierna San Bartolomeo, qui, sorgeva, in prossimità dello stabile odierno, una vecchia chiesetta dedicata a Santa Maria, chiesa di fondamentale importanza per quanto riguarda il resto della storia, che analizzeremo in appresso.
Alcuni anni prima, dalle zone che oggi appartengono al Comune di Battipaglia, proveniva un eremita di nome Giorgio Iorio, si ritirò nei monti Alburni per vivere in preghiera e penitenza, la stessa che decise di mettere in atto mentre stava meditando sulla Passione di Cristo creando e scolpendo il volto del Figlio di Dio, nonostante non avesse ne arnesi ne conoscenze tecniche per realizzarlo, l'eremita riuscì con mezzi rudimentali a creare il volto di Gesù abbozzandolo nel giugno del 1236 con un'espressione di dolore ineffabile e di arcana maestosità, che ancora oggi sbigottisce chi la osserva.
La testa fin dalla sua realizzazione si presenta priva di capelli e lavorata rozzamente, si notano ancora oggi i grandi tagli fatti con le scure. La parte anteriore della testa, invece, è fatta con il coltello, ma priva di precisione, il neo di destra è stato ricavato con il naturale nodulo del legno, caratteristico dell'avornio. Altri intagli artigianali, compongono il restante del Sacro Volto.
Il Santissimo è custodito in una stupenda nicchia, posto sull'altare ad esso dedicato, è incastonato in una struttura lignea, intagliato artisticamente e adornato da angeli nei capi altari, la cui porta a croce latina, è tenuta chiusa da due serrature, con un solo vetro posto all'altezza del volto.
Nel dicembre del 1236 il vecchio eremita Iorio, portò la testa realizzata a Campagna e la consegnò all'eremita Muria, il quale viveva in un monte detto "Fumaiolo" nei pressi della medievale chiesa del quartiere campagnese. La testa rimase per molto tempo lì e solo quando quest'ultimo fu prossimo alla morte consegnò la sacra scultura a frate Luca, officiante della chiesa di Santa Maria.
Alcuni anni dopo il pio transito del frate rettore, precisamente nel 1277, i domenicani riuscirono a costruire un piccolo cenobio attiguo alla chiesa, abbandonando così la loro povera e primordiale dimora, divenendo fin da subito, anche se in piccole dimensioni, una delle miglior fucine di valenti predicatori, sia per dottrina che per santità.
Nel 1366 il priore dei domenicani, fra Luigi, diede l'incarico all'artista campagnese Antonio Poro, rinomato scultore locale, con una fornita bottega nelle vicinanze della chiesa di Santa Maria della Giudeca, di costruire un grande Crocifisso da apporre nella chiesa di Santa Maria, dopo poco tempo, il Poro assolvente all'incarico, consegnò la maestosa opera ai domenicani, i quali godettero di una preziosa statua da apporre presso l'altare maggiore.
In quegli anni, c'erano forti agitazioni politiche tra Campagna ed Eboli, tanto da arrivare al punto di uno scoppio di una guerra civile, l'odio che covava tra le parti, fece si, che il 17 febbraio del 1369, un gruppo di briganti di Postiglione, con a capo l'ebolitano Salvatore Muscariello, giunsero a Campagna desiderosi di appropriarsi della testa che fu scolpita da Iorio decenni prima, probabilmente incalzati dal Muscariello, i quali manipolò il gruppo di malfattori a credere che fosse quella in essere, distrussero la chiesa di Santa Maria e il Crocifisso di recente fattura fu decapitato e, in segno di sfregio, portarono con loro la testa ad Eboli nascondendola sotto il convento di San Francesco.
I monaci a stento riuscirono a salvarsi.
Il crocifisso, che nel frattempo era rimasto senza testa, fu il movente dell'inizio della guerra civile che scoppiò l'anno dopo tra i Rossi e i Bianchi, ovvero tra Eboli, Campagna e Acerno.
Anni più tardi, nel 1387, fra Luigi, priore dei domenicani, si ricordò della testa che gli consegnata dall'eremita Muria al priore Luca il secolo prima, allora decise di provare ad apporla sul Cristo deturpato, questa, miracolosamente calzò alla perfezione, rimando fissa sul corpo, tanto che da allora non è stato più possibile rimuoverla, il tutto tra lo stupore generale dei pochi presenti, accadimento che fece gridare subito al miracolo.
All'estremità opposta del suddetto tempio, sorgeva già dal 1204, la chiesetta di San Paolo, costruita in zona più comoda e di passaggio obbligatorio rispetto a quella di Santa Maria, senza considerare il fatto che era posta alle pendici del Castello Gerione e di tutti i benefici che ne derivavano in termine di protezione.
Questo edificio per tanti anni godette di importanza e prestigio, già solo per il fatto che era sotto il diretto interesse dai Signori che dimoravano nel Castello e per la prossimità con il maniero campagnese, ma, con il passare del tempo, con l'ingrandimento del tessuto sociale a sud del Gerione e con il conseguente abbandono sia dei preti, che nel frattempo se ne erano scesi più a valle per l'edificazione di altre chiese di maggior sicurezza, di maggior vicinanza con le rispettive famiglie e, per il cambio di residenza dei Castellani dell'epoca, questa chiesa iniziò a perdere importanza tanto da rischiare l'abbandono definitivo.
Agli inizio del 1400, era rimasto un solo sacerdote al suo interno, di nome Bartolomeo, i domenicani ne iniziarono a chiedere insistentemente la gestione con il grande appezzamento attiguo, il nuovo castellano, Francesco Orsini con il suo arrivo nel 1437 instaurò il contado di Campagna, fece sua la volontà popolare e chiese al papa dell'epoca Nicolò V, la bolla per ridare un tempio ai frati. Il Papa acconsentì e, per festeggiare la vittoria campagnese nella guerra civile, diede disposizione di erigere il convento con l'annessione della chiesa di San Paolo, ribattezzata poi San Bartolomeo.
Un accadimento di assoluto rilievo si verificò quando, nel 1440, fu inviato a Campagna San Berardino da Siena, il futuro Santo gli fu dato il compito di sedare gli animi in seno ai vari ordini monastici e, tra le sue visite in Città, fu portato al cospetto del Crocifisso, il monaco senese, al cospetto di Gesù, perse i sensi, al suo risveglio esclamò: "Santissimo Nome di Dio!" e pregò i presenti di continuare a venerarlo con questo nome, i presenti acconsentirono e da allora nacque il culto e la venerazione.
Un secolo più tardi, a convento e vita monastica ormai avviata con un certa continuità, si decise di fondare una confraternita che portasse il suo nome e, nel 1538, il priore dei domenicani, incoraggiato dal primo vescovo della neonata diocesi di Campagna, Cherubino Caetani, diedero vita ad un'associazione di uomini dotti e religiosi.
Questa prima associazione però non ebbe vita lunga, diatribe interne circa le finalità e l'organizzazione della stessa portano allo sfascio delle congregazione, anni più tardi, grazie all'unico vescovo natio di Campagna, Mons. Giulio Cesare Guarnieri, fu costituito una nuovo sodalizio, questa volta con basi più solide che gli assicurava lunga e duratura vita, un anno più tardi, tramite un apposito statuto, fu fondata ufficialmente la Confraternita del SS. Nome di Dio.
Così l'11 giugno del 1593 il notaio campagnese Lucio Perrotti, stipulò l'atto notarile che sancì ufficialmente e definitivamente l'operazione. Accadimento importante che determinò una serie di normative che in passato avevano creato malumori tra gli associati, si determinò infatti che i domenicani concedevano l'area attuale del cappellone e l'oratorio annesso della chiesa alla Confraternita, a malincuore consegnavano il Crocifisso svestito e si riservarono il diritto di sepoltura sotto l'oratorio della confraternita.
I tredici campagnesi che firmarono l'atto si impegnarono invece a far fronte alla demolizione del rozzo altare presente e all'edificazione all'attuale e maestoso altare presente.
Un anno più tardi si regolò a approvò lo Statuto interno alla presente del vescovo Guarnieri con la nomina del primo priore, il magnanimo Gio. Camillo Carrione.
C'è da annoverare tra gli accadimenti storici pervenuti che nel 1572, il frate eretico Giordano Bruno, messo a rogo il 17 febbraio del 1600 in Campo de i Fiori a Roma, compì il suo noviziato nel convento dei Domenicani, dove cantò la sua prima messa.
La Confraternita ha come finalità, oltre quello della venerazione al culto del Crocifisso, vi è anche la presa in carico di venire incontro alle richieste dei più bisognosi e di cercare quanto più è possibile di intercedere per la risoluzione di angherie e controversie della popolazione.
Localmente è denominata anche come confraternita dei "Trentatré", in quanto non può prescindere dal numero max di 32 confratelli effettivi più il SS.Nome di Dio, santo confratello perenne.
Testo a cura di Cristian Viglione.
Basato ed estrapolato dall'opera di Raffaele D'Ambrosio "Le Confraternite di Campagna attraverso i secoli.". Anno 1984
Confraternita della Madonna del Rosario
La Confraternita della Madonna del Rosario, venne fondata nel 1605 per volere dei frati domenicani di San Bartolomeo e per circa vent'anni officiò nella chiesa omonima, precisamente nel luogo dove oggi sorge il suo cappellone, costruito a sue spese, dinanzi a quello della confraternita del SS. Nome di Dio, posto a sinistra dell'altare maggiore della chiesa per chi entra.
Essa fece scolpire in un secondo tempo una stupenda statua della Madonna del Rosario col bambino in braccio, la quale è custodita nell'oratorio, mentre nella nicchia della chiesa ne fu posta un'altra, di più recente fattura, identica a quella presente nella sede nei confratelli.
L'oratorio del pio sodalizio, si presenta spazioso, soleggiato, ricco di stalli pregiati ed artistici, è tenuto con molta cura e devozione dalla stessa e le sue pareti sono tutte dipinte di scene religiose.
Era provvisto anche di spazi adibiti alla sepoltura con due grandi sottostanti vuoti a volta; nell'uno si accedeva per mezzo di una lastra di pietra posta subito dopo l'ingresso principale che copriva la sottostante scalinata in fabbrica di malta e nell'altro tramite due lastre di marmo, su cui vi è scritto "Hodie tibi, cras mihi." (Oggi per te, domani per me) con un teschio scolpito, poste vicino allo stallo del priore.
I cadaveri venivano appoggiati ai muri con sostegni in fabbrica sotto le ascelle e posti in posizione verticale, per farli presto disseccare e meglio conservare.
Sull'altare maggiore dell'oratorio si trovano due colonne di marmo finissimo e lavorate artisticamente, trovate nel vuoto sottostante della chiesa di San Bartolomeo.
Indi la Confraternite desiderosa e bisognosa di avere un proprio spazio, ne fece costruire nel 1627 uno spazio tutto per se per meglio adempiere alla sue funzioni.
Lo Statuto della Confraternita, originariamente, prevedeva un numero di 265 confratelli, questa era una delle più ricche sia di arredi sacri che di suppellettili, tanto che il 15 maggio 1773 la confraternita del SS. Nome di Dio propose di fargli le mozzette, perché dovendosi fare alcune processione erano costretti a pigliarsi ad impronto della congregazione della Madonna del Rosario.
Questa contribuì all'istituzione del seminario con 160 ducati e con due case, un oliveto e un seminativo di 100 tomoli di terreno, l'atto pubblico fu stipulato dal notaio Francescantonio Giordano il 23 agosto 1722.
Essa, nel 1735, stipulò un accordo con i Domenicani, secondo cui il priore del convento, anche parroco di San Bartolomeo, si impegnava ad assistere a tutte le funzioni religiose, alle processioni e a presiedere le riunioni della confraternita. Questa, da parte sua, avrebbe gratificato equamente il parroco.
Accadimento di rilievo si verificò nel 1795 quando fu rinnovato la convezione del 1735 e secondo una clausola il parroco, poteva eleggere a sua discrezione quindici confratelli per completare il numero previsto dallo statuto di n°265 associati.
Lo scopo del sodalizio è quello di meditare e contemplare i Misteri del Rosario oltre che a predicare i prodigi dello stesso ai più poveri, agli ammalati e degli indigenti.
Testo a cura di Cristian Viglione.
Basato ed estrapolato dall'opera di Raffaele D'Ambrosio "Le Confraternite di Campagna attraverso i secoli.". Anno 1984
Confraternita Monte dei Morti e Beata Vergine del Carmelo
La Confraternita del Monte dei Morti sotto il sacro patrocinio della Vergine del Carmelo fu fondata nel 1627 a seguito di una missione dei padri gesuiti della Compagnia del Gesù, per opera di Ludovico Cantalupo, il cui teschio si conserva con cura, insieme a quello di un altro confratello, l'ebanista Mariano Cuocolo, artefice della realizzazione dell'arredo ligneo della chiesa.
Iniziò ad operare sotto il vescovo Berzellino de Berzellini e per suo merito fu aggregata a quella di Roma col favore di numerose indulgenze, come si desumeva facilmente dal quadro antico, una volta situato dietro all'altare maggiore. Essa soltanto gode il privilegio di portare il gonfalone delle processioni come quella di Roma.
Oggi nella chiesa si ammira l'altare della Madonna del Carmine, tutto in pietra locale, finemente casellato, un vero gioiello d'arte di scultori locali. Prima vi era un altare di legno e sotto il priorato di Vincenzo Busillo fu sostituito con quello attuale, rimosso dalla chiesa di San Martino nell'ex convento dei Frati Cappuccini, dove costituiva l'altare maggiore, alla cui destra e sinistra di chi entra sono visibili le iniziali maiuscole C.C.e E.D.
La bolla della sua erezione è datata 7 agosto 1627 da parte del vicario capitolare e generale Constantino Naymoli, vicario di Mons. Scappi. Essa contribuì all'istituzione del seminario, il cui atto stipulato il 12 luglio del 1722 dal notaio Giordano, con l'esorbitante somma per quell'epoca di 2194 ducati, con nove vasti fabbricati, cinque oliveti, una tenuta in loc. Cappellania, una a San Felice, una a Pariti, una Pezzarotonda, una a Varano, tre vasti territori seminativi per un quantitativo di 167 tomoli di terreno.
Come detto, la confraternita fu ammessa a godere di tutti i privilegi dell'Arciconfraternita dei Morti a Roma, in pochissimi anni divenne tanto numerosa, fino a duecento confratelli e tanto ricca da suscitare attenzioni da parte di tutte le altre presenti in Città. Si dava e, si da tutt'ora, molta importanza al culto dei morti, i quali venivano sepolti sotto le chiese, i lasciti erano ingenti e quasi tutti, prima di passare al miglior vita, chiedevano alla confraternita di celebrare messe in loro suffraggio.
Nella confraternita erano ammesse anche le donne, essendo giudicate idonee al culto dei morti e ad inculcare nell'animo degli uomini il rispetto per i defunti. Già nel 1700 vi era un numero molto cospicuo.
Essa, dall'atto della sua fondazione, fu dotata di molti capitali elargiti non solo dallo Studio Generale, ma anche da tanti benefattori. Le fu concesso dal capitolo di svolgere le proprie funzioni di culto nel "soccorpo" della Cattedrale, in cambio delle predetta concessione, il capitolo si riservò il diritto di far parte della confraternita.
Nel 1763 il capitolo, su basi di falsi ed inesistenti diritti, si oppose all'approvazione del nuovo statuto e presentò ricorso alla Real Camera di Santa Chiara che, dopo un attento ed approfondimento esame dei documenti esibiti da ambo le parti interessate, respinse il ricorso del capitolo e riconobbe legittima l'indipendenza della confraternita dal capitolo, che spesso avevo chiuso addirittura la porta della chiesa inferiore, proibendo lo svolgersi delle funzioni, come accade nel 1705 per opera del parroco della cattedrale don Andrea Viviano.
Ebbe ufficiale statuto interno nel 1765.
Come ampiamente detto le finalità della congregazione è venerare il culto dei morti, affinché le proprie preghiere, attraverso le opere dello Spirito Santo possano accompagnare l'anima del defunto nel Paradiso, fungendo da purgazione spirituale.
La confraternita ricostituitasi nel 1997 fin da subito si è contraddistinta in fede e operatività, tramite un rinnovato spirito si è adoperata in numerosi lavori di ristrutturazione e restauri artistici e strutturali, ripotando alla luce parte degli antichi luoghi di sepoltura, nel 1999 e catalogando, con attenzione e premura, antichi documenti, importantissimi per le nostra e la loro storia ultra-secolare.
In ultimo, ma non per ultimo, si è resa protagonista di un'istituzione di una zona archeologica tramite il ritrovamento delle mura esterne della chiesa medievale di Santa Maria della Giudeca.
Testo a cura di Cristian Viglione.
Basato ed estrapolato dall'opera di Raffaele D'Ambrosio "Le Confraternite di Campagna attraverso i secoli.". Anno 1984
Confraternita dell'Immacolata Concezione
La Confraternita ha sede nella frazione di Serradarce, essa nasce grazie frate Mariano, il preposto che ebbe in dote la facoltà di amministrazione sulla nascente chiesa di Santa Maria del Buon Consiglio, donazione dell'avv. campagnese Cantalupo, dotato di spirito fattivo, volle e ottenne da mons. Nappi la costituzione della Confraternita, il 2 luglio del 1885.
L'alto prelato ratificò la bolla d'erezione. La stessa, nel 1889, si attivò fin da subito insieme ai cittadini del posto per dotare la chiesa della campana di cui necessitava e, sempre per loro volere nel 1901, venne costruita la strada carrabile che portava alla chiesa. Nel 1902, invece, venne istituita per la prima volta la famosa fiera di Serradarce.
Le finalità del pio sodalizio fin dagli albori consisteva nel diffondere e promuovere il culto al SS. Sacramento, con la pissibilità di assistere ai moribondi ed accompagnare i defunti alla sepoltura.