Le due oasi.
Campagna è un piccolo gioiello che sorge all’interno di una vallata con delle peculiarità naturalistiche e geologiche quasi uniche, infatti, essa è anche definita “la Città delle due Aree Protette” e, dagli addetti ai lavori, un’importante finestra tettonica. La conformazione della valle e del territorio, che si estende (a sud) fino al fiume Sele, è il risultato di processi erosivi e geologici che nel corso dei millenni hanno permesso la formazione di un territorio con variazioni altimetriche molto spinte; si va, infatti, dai 30 m s.l.m. fino ai 1.790 m s.l.m. del M.te Polveracchio (terza cima più alta dei M.ti Picentini).
La finestra tettonica di Campagna è stata segnalata per la prima volta nel 1967 da Scandone e Sgrosso, due esperti geologi, che, in una nota del 1974, presentata a Roma in un simposio scientifico, l’hanno definita come “una delle strutture più esplicative dell’assetto tettonico delle unità esterne dell’Appennino campano-lucano".¹ Per capire meglio l’importanza della geologia (finestra tettonica) del paese è doveroso tracciare un rapido excursus sulla formazione dei continenti. In origine la nostra Terra era un ammasso di rocce infuocate che, con il passare del tempo, si è raffreddato ed ha formato la superficie sulla quale viviamo: la “crosta terreste”.
Dobbiamo immaginare il nostro pianeta come un uovo sodo con la buccia esterna rotta che rappresenta la crosta. Nel corso di milioni di anni, per via dei movimenti del mantello, che possiamo paragonare all’albume dell’uovo, queste croste frastagliate si sono inabissate, sopraelevate e scontrate tra di loro, creando degli strati di natura geologica diversi gli uni sugli altri, come una sorta di torta multistrato mischiata. I geologi per studiare la storia geologica di un’area utilizzano strumenti che permettono di conoscere direttamente o indirettamente la composizione di ogni strato; in questo caso di fronte ad una finestra tettonica è possibile individuare i vari strati che costituiscono un comprensorio osservandola anche solo a occhio nudo. La finestra tettonica si forma attraverso l’erosione progressiva di un’unità tettonica (singola porzione di crosta terrestre) più recente che, nel corso di migliaia di anni, porta alla luce un’unità più antica. Sono stati i corsi fluviali di Campagna che nel corso di migliaia di anni, aiutati dai movimenti tettonici, hanno scavato gli strati più recenti e fatto affiorare quelli più antichi che hanno dato forma alla vallata odierna. Nello specifico la struttura geologica della finestra in esame è costituita dall’Unità di Monte Croce.
Essa, a sua volta, è costituita da delle facies che indicano le caratteristiche fisico-chimiche-biologiche di una roccia e la loro differenza indica l’evoluzione geologica di un territorio. Tutta l’area dei Monti Picentini è costituita da dolomie, calcari dolomitici e calcari che, in seguito alla formazione dell’Appennino meridionale, si sono accavallati sugli originari sedimenti marini. Ai primordi, infatti, buona parte dell’area meridionale italiana non esisteva, al suo posto c’era il fondo marino che era formato da sedimenti che oggi chiamiamo Unità Lagonegrese. Essa, dallo strato più recente a quello più profondo, è così divisa: Lagonegro I, Lagonegro II e Vallimala.
La finestra tettonica campagnese è ben evidente nelle immagini sottostanti, dove sono evidenziati, con colori diversi e semplificandone le strutture, l’Unità Carbonatica del M.te Polveracchio e del M.te Raione, e quella Lagonegrese del Monte Croce. È possibile osservare l’erosione dei Fiumi Tenza ed Atri lungo il margine del M.te Croce e la conseguente separazione delle due unità (immagine 1 e 2).
Nell’immagine 3 è schematizzata la finestra tettonica di Campagna dove è possibile vedere in sezione l’unità del M.te Croce racchiusa nelle valli formate dai fiumi Tenza e Atri.
Per approfondire ulteriormente la storia geologica di Campagna è doveroso, infine, datare la sua età, la quale è stata calcolata osservando i vari strati che caratterizzano la finestra tettonica campagnese. Come ci viene indicato da Scandone e Sgrosso, essa si presenta, dall’alto verso il basso, così stratificata: - Unità carbonatico – terrigena della piattaforma abruzzese- campana (Trias – Miocene medio); - Unità lagonegresi (Trias – Miocene inferiore); - Unità carbonatica della piattaforma campano – lucana (Trias - Miocene inferiore). Considerando la tabella del tempo geologico è possibile datare l’età geologica di Campagna che è pari a 250 milioni di anni. Campagna dunque si presenta come una vecchia signora che ha dei natali molto antichi. La sua storia travagliata e dinamica l’ha caratterizzata e resa un territorio fertile per la cultura, la religione e la biodiversità; quest’ultima è molto varia perché vario è il territorio campagnese. Nell’immagine 4 è possibile notare come è diverso altimetricamente il territorio di Campagna che si presenta così suddiviso: 54 % montagna, 22 % collina e 24 % pianura.
Queste variazioni hanno consentito la formazione di vari habitat, dei quali due sono diametralmente opposti, ciascuno con peculiarità e specificità uniche. I vari terreni di origine calcarea hanno permesso l’accumulo di acqua e la dissoluzione di sostanze minerali nel terreno che hanno apportato nutrimento ai cosiddetti produttori iniziali di una catena alimentare: le piante. Tutto ciò ha, inoltre, favorito l’insediamento e lo stanziamento di tante specie di fauna sul suo territori; per tale motivo Campagna è definita la “Città delle due aree protette”: l’Oasi di Persano e l’area SIC del M.te Polveracchio. Quest’ultime hanno delle storie diverse dal punto di vista degli habitat ma un fattore in comune che le lega in modo indissolubile: l’acqua. Questa mia breve descrizione sulle bellezze naturalistiche di Campagna inizia dal punto più basso della città, da sud: dall’Oasi di Persano. Il territorio dell’Oasi di Persano era originariamente paludoso. Della sua bonifica si interessò il Consorzio di bonifica in Destra del fiume Sele che negli anni ’30 gestiva la bonifica delle aree paludose.
Esso diede alla società Farina-Valsecchi & c. la concessione di lavori di bonifica e l’utilizzo delle acque del fiume Sele, del Tusciano e del Calore, per l'irrigazione delle terre da bonificare² e per la costruzione della diga di Persano che ha proprio la funzione di regolazione delle acque adibite all’irrigazione per un più efficiente utilizzo della risorsa idrica. In questo invaso artificiale, nel 1980 fu istituita l’area protetta di Persano (Foto 5 e 6) (ZPS6), ricade, inoltre, nella Riserva naturale Foce Sele – Tanagro ed è tutelata anche da Rete Natura 2000 perché si trova lungo le rotte di migrazione degli uccelli. Gli standard di tutela europei appena menzionati ben rappresentano l’importanza del sito che si prefissa di tutelare la biodiversità e l’acqua, quest’ultima utilizzata per irrigare la Piana del Sele e quindi che ritornerà nelle nostre tavole sotto forma vegetale e animale. Dopo aver inquadrato l’aspetto normativo dell’Oasi di Persano è giunto il momento di capire nello specifico il perché di questi elevati standard protezionistici, iniziando dalla flora endemica del sito.
Esso diede alla società Farina-Valsecchi & c. la concessione di lavori di bonifica e l’utilizzo delle acque del fiume Sele, del Tusciano e del Calore, per l'irrigazione delle terre da bonificare² e per la costruzione della diga di Persano che ha proprio la funzione di regolazione delle acque adibite all’irrigazione per un più efficiente utilizzo della risorsa idrica. In questo invaso artificiale, nel 1980 fu istituita l’area protetta di Persano (Foto 5 e 6) (ZPS6), ricade, inoltre, nella Riserva naturale Foce Sele – Tanagro ed è tutelata anche da Rete Natura 2000 perché si trova lungo le rotte di migrazione degli uccelli. Gli standard di tutela europei appena menzionati ben rappresentano l’importanza del sito che si prefissa di tutelare la biodiversità e l’acqua, quest’ultima utilizzata per irrigare la Piana del Sele e quindi che ritornerà nelle nostre tavole sotto forma vegetale e animale. Dopo aver inquadrato l’aspetto normativo dell’Oasi di Persano è giunto il momento di capire nello specifico il perché di questi elevati standard protezionistici, iniziando dalla flora endemica del sito.
La flora è tipicamente igrofila, costituita cioè da specie che vegetano in terreni ricchi di acqua con clima umido. La biocenosi tipica del sito è costituita da uno strato arboreo di salici, pioppi e ontani che creano un continuum con le tipiche foreste ripariali (cioè si trovano tra il terreno e l’acqua) costitute da felci, equiseti e gigli d’acqua. Quest’ultime sono specie particolari, basti pensare che l’equiseto è tra le piante più antiche della Terra ed ha proprietà officinali, mentre il giglio d’acqua ha una radice mobile e riesce ad assorbire sostanze nutritive dall’acqua; entrambe sono molto utilizzate nella fitodepurazione e quindi sono già loro garanzia di acqua pulita e salubre. Inoltre nell’Oasi di Persano troviamo canneti, paludi, prati, boschi cedui, macchia mediterranea, insomma una biodiversità vegetale estremamente ricca (foto 7).
Le caratteristiche della flora endemica permettono la sopravvivenza dei cosiddetti consumatori primari e secondari nonché di specie volatili stagionali. Sicuramente l’animale simbolo è la Lontra (Lutra lutra), specie considerata a rischio di estinzione, che ha trovato in queste acque un luogo idoneo per potersi riprodurre e quindi sopravvivere; il WWF la considera tra gli animali da salvaguardare e da proteggere8, sia perchè si ritrova al “limite della scala di rarità” e sia perché “laddove le sue popolazioni non risultino così rare e localizzate come in Italia, può essere un ottimo indicatore di qualità ambientale (ambienti ripariali), soprattutto in rapporto alla qualità delle acque” . Altre specie animali vivono protette da queste acque e da questa vegetazione: - Mammiferi: tassi, volpi, cinghiali, donnole, puzzole; - Uccelli migratori: aironi, garzette, anatre tuffatrici, gallinelle, folaghe, porciglioni; - Uccelli rapaci: sparvieri, gheppi, poiane e falchi. - Animali acquatici: anguille, tinche, carpe, lamprede, barbi, cavedani. Nell’Oasi di Persano è possibile usufruire di due sentieri, di 1 km e di 400 m, lungo i quali sono presenti capanne di osservazione (foto 8) per gli appassionati di birdwatching o per semplici curiosi.
Risalendo contro corrente lungo i fiumi che sfociano nel Sele, ci ritroviamo man mano circondati dagli olivi (Figura 9) che fanno di Campagna uno dei massimi produttori di olio extra vergine della Campania. In base ai dati forniti d dall’Osservatorio dell’Appennino Meridionale si può accertare come Campagna abbia destinato 58,80 ha del proprio territorio alla produzione di Olio DOP. L’importanza di questa produzione certificata risiede proprio nel marchio DOP (Denominazione di Origine Protetta) che certifica che l’olio viene estratto da oliveti che riescono a vegetare solo in determinate situazioni ambientali e gestionali che devono essere tutelate e mantenute nel tempo. Seguendo il Fiume Tenza arriviamo, passando per una splendido canion, all’interno del centro storico che rappresenta la “Porta sud-orientale della natura” del Parco Regionale dei M.ti Picentini. Le “porte” sono 4, simboleggiano l’ingresso nel territorio del Parco e sono unite da “corridoi” ecologici” che si diramano all’interno di tutto il territorio e che permettono di unire tutti i comuni dell’area parco.
I percorsi naturalistici sono vari, documentati e tracciati dal CAI nella “Carta dei Sentieri del Parco Regionale dei Monti Picentini” e in dotazione a tutti i comuni del comprensorio. Nel canion del centro abitato il Fiume Tenza si incontra con l’Atri. Risalendo lungo i due corsi fluviali inizia la zona montuosa sulla quale sono visibili i vari passaggi vegetazionali, influenzati dall’altitudine sempre crescente. All’inizio della risalita sono presenti lecci, castagni e cerri, salendo compaiono gli ontani, olmi, gigli, aceri fino ad arrivare al punto più alto con la presenza del faggio che ricopre il M.te Polveracchio. Quest’ultimo con i suoi 1790 m s.l.m. è la terza cima del comprensorio regionale. Il suo nome potrebbe derivare dalla caratteristica cima priva di vegetazione che, quando è sferzata dai venti e ricoperta di neve, sembra che si ricopra di polvere. Il M.te Polveracchio, la cui cima segna il confine con il comune di Acerno, è stato identificato sito da Rete Natura 2000 e Sito di Importanza Comunitaria.
Ma cosa ha di così particolare questo sito? Il suo simbolo è il lupo (Canis lupus), quindi ciò fa pensare che la caratteristica principe dell’area sia la presenza di questo animale. Per dovere di cronaca il lupo è un animale molto mobile, durante la notte può percorrere svariati km, quindi che ci sia una popolazione stanziale sul M.te Polveracchio è difficile, però sicuramente il lupo (o meglio i lupi dato che vivono in branco) adotta il Parco Regionale come zona di caccia. L’importanza del lupo è elevata, esso è, infatti, protetto dagli anni ’70 con misure di salvaguardia che ne evitano la scomparsa. Grazie al suo inserito nella Lista Rossa16 come specie vulnerabile, oggi sta tornando a ripopolare aree in cui era scomparso. Aree protette, come quelle del Polveracchio, permettono a questa specie di ripopolare i nostri boschi. I lupi ci danno, inoltre, una mano nei confronti di un animale selvatico che sta provocando molti danni da diversi anni: il cinghiale. Il lupo non è l’unico mammifero presente nell’area del Polveracchio, c’è anche il ghiro, il moscardino, il quercino, la martora, il tasso e il gatto selvatico. Sono inoltre presenti specie significative di anfibi come: l’ululone dal ventre giallo, la salamandra pezzata appenninica e il tritone italico. Tra i rapaci notturni e diurni vi sono: il falco pellegrino, la poiana, la civetta, l’allocco, il gufo, il barbagianni e il picchio nero. Insomma, già solo considerando la fauna presente è giustificata la tutela dell’area. Il comprensorio del Polveracchio presenta anche un’altra specificità legata, questa volta, alla sua vegetazione. Sul Polveracchio persiste una foresta di faggio molto particolare, derivante da quella del nord-est Europa. Per capire meglio l’importanza e il “cammino” di queste piante bisogna partire dall’ultima glaciazione detta di Wurm, verificatasi tra i 20.000 e i 10.000 anni fa: il nord Europa era ricoperto dai ghiacci, il centro Europa da tundra e steppe, e le foreste migrarono verso aree più calde (Figura 10). Con la fine della glaciazione l’assetto europeo ritornò a quello odierno, ma alcune specie vegetali trovarono, nel sud Italia, delle aree con caratteristiche pedoclimatiche (cioè del suolo e del clima) idonee per potervi restare.
Proprio per questo motivo oggi c’è il faggio in Italia, altrimenti sarebbe una specie tipicamente centro europea. Ma allora tutti i faggi presenti in Italia sono di origine glaciale? Si, ma la particolarità del faggio che si trova sul Polveracchio è dovuta alla sua provenienza Hymalaiano – Caucasico. Il faggio ha “camminato” molto per venire da noi e non si è più mosso diventando pregiato per il suo “valore di relitto preglaciale”. Questa pianta, è una specie che, anche nel sud Italia, si trova perlopiù nelle aree interne, mentre sul Polveracchio può essere definito costiero perché si “affaccia” sul mare (Foto 11). L’aria caldo- umida costiera, proveniente da Sud, è mitigata da quella fresca del Nord, ciò crea una condizione di umidità favorevole alla pianta e agli stessi abitanti della zona, infatti sul Polveracchio nascono 5 fiumi¹8 grazie all’apporto pluviometrico che si forma dall’incontro di queste due correnti d’aria contrapposte e dalla composizione geologica. Insomma unendo le specificità vegetazionali e faunistiche dell’area ben si comprende l’attenzione a livello comunitario del sito che è stato classificato A1 – Aree di rilevante interesse naturalistico . Infatti è solo in questo modo che si può perpetrare la popolazione del faggio relittuale ad alto fusto e delle altre specie vegetazionali presenti, oltre che tutelare la fauna ed, in generale, l’estrema biodiversità dell’area. Il territorio di Campagna conta di tante particolarità naturalistiche, spero di averle descritte tutte in modo semplice e chiaro; auspico di avere instaurato nel lettore una maggiore curiosità e senso critico nei riguardi del nostro territorio.
Ringrazio l'associazione Città di Campagna ETS per l’opportunità che mi ha dato di poter contribuire, nel mio piccolo, a descrivere ciò che più amo del mio paese.
I percorsi naturalistici sono vari, documentati e tracciati dal CAI nella “Carta dei Sentieri del Parco Regionale dei Monti Picentini” e in dotazione a tutti i comuni del comprensorio. Nel canion del centro abitato il Fiume Tenza si incontra con l’Atri. Risalendo lungo i due corsi fluviali inizia la zona montuosa sulla quale sono visibili i vari passaggi vegetazionali, influenzati dall’altitudine sempre crescente. All’inizio della risalita sono presenti lecci, castagni e cerri, salendo compaiono gli ontani, olmi, gigli, aceri fino ad arrivare al punto più alto con la presenza del faggio che ricopre il M.te Polveracchio. Quest’ultimo con i suoi 1790 m s.l.m. è la terza cima del comprensorio regionale. Il suo nome potrebbe derivare dalla caratteristica cima priva di vegetazione che, quando è sferzata dai venti e ricoperta di neve, sembra che si ricopra di polvere. Il M.te Polveracchio, la cui cima segna il confine con il comune di Acerno, è stato identificato sito da Rete Natura 2000 e Sito di Importanza Comunitaria.
Ma cosa ha di così particolare questo sito? Il suo simbolo è il lupo (Canis lupus), quindi ciò fa pensare che la caratteristica principe dell’area sia la presenza di questo animale. Per dovere di cronaca il lupo è un animale molto mobile, durante la notte può percorrere svariati km, quindi che ci sia una popolazione stanziale sul M.te Polveracchio è difficile, però sicuramente il lupo (o meglio i lupi dato che vivono in branco) adotta il Parco Regionale come zona di caccia. L’importanza del lupo è elevata, esso è, infatti, protetto dagli anni ’70 con misure di salvaguardia che ne evitano la scomparsa. Grazie al suo inserito nella Lista Rossa16 come specie vulnerabile, oggi sta tornando a ripopolare aree in cui era scomparso. Aree protette, come quelle del Polveracchio, permettono a questa specie di ripopolare i nostri boschi. I lupi ci danno, inoltre, una mano nei confronti di un animale selvatico che sta provocando molti danni da diversi anni: il cinghiale. Il lupo non è l’unico mammifero presente nell’area del Polveracchio, c’è anche il ghiro, il moscardino, il quercino, la martora, il tasso e il gatto selvatico. Sono inoltre presenti specie significative di anfibi come: l’ululone dal ventre giallo, la salamandra pezzata appenninica e il tritone italico. Tra i rapaci notturni e diurni vi sono: il falco pellegrino, la poiana, la civetta, l’allocco, il gufo, il barbagianni e il picchio nero. Insomma, già solo considerando la fauna presente è giustificata la tutela dell’area. Il comprensorio del Polveracchio presenta anche un’altra specificità legata, questa volta, alla sua vegetazione. Sul Polveracchio persiste una foresta di faggio molto particolare, derivante da quella del nord-est Europa. Per capire meglio l’importanza e il “cammino” di queste piante bisogna partire dall’ultima glaciazione detta di Wurm, verificatasi tra i 20.000 e i 10.000 anni fa: il nord Europa era ricoperto dai ghiacci, il centro Europa da tundra e steppe, e le foreste migrarono verso aree più calde (Figura 10). Con la fine della glaciazione l’assetto europeo ritornò a quello odierno, ma alcune specie vegetali trovarono, nel sud Italia, delle aree con caratteristiche pedoclimatiche (cioè del suolo e del clima) idonee per potervi restare.
Proprio per questo motivo oggi c’è il faggio in Italia, altrimenti sarebbe una specie tipicamente centro europea. Ma allora tutti i faggi presenti in Italia sono di origine glaciale? Si, ma la particolarità del faggio che si trova sul Polveracchio è dovuta alla sua provenienza Hymalaiano – Caucasico. Il faggio ha “camminato” molto per venire da noi e non si è più mosso diventando pregiato per il suo “valore di relitto preglaciale”. Questa pianta, è una specie che, anche nel sud Italia, si trova perlopiù nelle aree interne, mentre sul Polveracchio può essere definito costiero perché si “affaccia” sul mare (Foto 11). L’aria caldo- umida costiera, proveniente da Sud, è mitigata da quella fresca del Nord, ciò crea una condizione di umidità favorevole alla pianta e agli stessi abitanti della zona, infatti sul Polveracchio nascono 5 fiumi¹8 grazie all’apporto pluviometrico che si forma dall’incontro di queste due correnti d’aria contrapposte e dalla composizione geologica. Insomma unendo le specificità vegetazionali e faunistiche dell’area ben si comprende l’attenzione a livello comunitario del sito che è stato classificato A1 – Aree di rilevante interesse naturalistico . Infatti è solo in questo modo che si può perpetrare la popolazione del faggio relittuale ad alto fusto e delle altre specie vegetazionali presenti, oltre che tutelare la fauna ed, in generale, l’estrema biodiversità dell’area. Il territorio di Campagna conta di tante particolarità naturalistiche, spero di averle descritte tutte in modo semplice e chiaro; auspico di avere instaurato nel lettore una maggiore curiosità e senso critico nei riguardi del nostro territorio.
Ringrazio l'associazione Città di Campagna ETS per l’opportunità che mi ha dato di poter contribuire, nel mio piccolo, a descrivere ciò che più amo del mio paese.
Testo a cura del dott. Antonello D'Ambrosio.
BIBLIOGRAFIA:
1. THE GEOLOGICAL SOCIETY OF AMERICA. GEOLOGIC TIME SCALE. (2009).
2. Storia del Consorzio Destra Sele (http://www.bonificadestrasele.it/la-storia/)