Mons. Giuseppe Maria Palatucci.


Era il 16 gennaio 1938 quando Monsignor Giuseppe Maria Palatucci entrava solennemente nella venerabile diocesi di Campagna per iniziarvi il suo ministero pastorale. Un giorno memorabile: per lui che poteva vivere la pienezza del sacerdozio apostolico e per la popolazione che accoglieva in un tripudio di gioia il suo nuovo pastore, “un uomo - avrebbero specificato le cronache – di grande ingegno e di grande cultura, ma ancor più, di grande e schietta fede e pietà, d’incantevole semplicità e umiltà francescana”. Così le cronache; ma noi vogliamo conoscere qualcosa di più su ciò che precede il giorno memorabile di Campagna e su ciò che a quel giorno seguì.
Giuseppe Maria Palatucci era nato a Montella, in provincia di Avellino il 25 aprile 1892, in una famiglia dalle forti radici cristiane, se è vero che insieme con lui altri due suoi fratelli e poi un nipote erano entrati ed entreranno a far parte dell’ordine dei Minori Francescani Conventuali, costituendo per esso una presenza altamente significativa.
Frequentò il ginnasio presso il convento Santa Maria del Monte, sempre a Montella, quindi passò per il noviziato a Ravello, nella costiera amalfitana, dove emise la prima professione religiosa, così impegnando la vita al servizio pieno di Dio e della Chiesa. Un impegno che mantenne accettandone, come deve essere, tutte le conseguenze.
Si trasferì a Roma per approfondire i suoi studi filosofici e teologici conseguendo titoli accademici presso l’Università Gregoriana, dove si laureò in filosofia. Frequentò corsi di teologia presso la Pontificia Facoltà Teologica dell’Ordine di San Bonaventura, affinò i suoi studi letterari presso l’Apollinare e non mancò di frequentare corsi specifici di Liturgia presso l’Accademia Liturgica Romana. Diciamo un uomo umanamente, culturalmente e cristianamente completo.
Fu ordinato sacerdote a Montella il giorno 31 maggio 1915, e nella stessa Montella, propriamente nella chiesa di San Silvestro celebrò la sua prima messa. Poi, il giorno seguente, la chiamata nell’esercito, per compiere da sacerdote il suo dovere militare. Prima addetto al trasporto dei feriti, divenne poi cappellano militare. Dopo quattro anni di servizio militare, p. Giuseppe Maria concluse a Roma i suoi studi conseguendo la laurea in teologia per poi assumere il ruolo di insegnante di filosofia presso il Collegio internazionale che il suo Ordine conduceva in città.
Nel 1923 lasciò Roma e fu impegnato a garantire la rinascita del suo Ordine nella provincia meridionale agendo sempre nella costiera amalfitana da direttore del Collegio serafico, da educatore e da predicatore: ovunque ottenendo il giusto riconoscimento per le sue doti intellettuali e per il suo carisma comunicativo oltre che per le sue iniziative anche giornalistiche.
Il 28 novembre 1937,mentre era impegnato a predicare una missione nelle Calabrie, venne sorpreso dalla nomina a Vescovo di Campagna operata da Papa Pio XI. Padre Giuseppe Maria aveva allora 45 anni e una grande esperienza sia intellettuale, sia spirituale, sia pastorale. La cerimonia della sua consacrazione episcopale avvenne a Napoli nella Basilica di san Lorenzo Maggiore, e fu per le mani del cardinale Alessio Ascalesi.
È sulla base di questi presupposti che si può capire ciò che avvenne dopo, da Vescovo di Campagna. Intanto, egli promosse nella diocesi una forte ripresa liturgica e creò le condizioni perché il popolo tornasse ad una fede più autentica rinnovando il senso cristiano della vita e delle cose, creando all’uopo nuove parrocchie necessarie. Restaurò il seminario diocesano e ne rivalutò la dimensione culturale a vantaggio della città. Rilanciò il culto nel Santuario della Madonna di Avigliano e riorganizzò l’Azione Cattolica nei vari paesi della diocesi, che percorse assiduamente visitandone i comuni e le parrocchie per promuovere e per incoraggiare la loro ragion d’essere iniziale e finale. Creò entusiasmo intorno alla fede sollecitando simpatie e attrazione. Splendido il Congresso Eucaristico di Contursi e la Peregrinatio Mariae che percorse l’intera diocesi.
Riuscite anche alcune sue iniziative che ebbero andamento sociali. Non che le abbia realizzate direttamente egli stesso, ma la sua intelligente attenzione e la sua capacità di convogliare mezzi e risorse umane consentì l’apertura di cantieri per case popolari, piccoli acquedotti e una strada che avrebbe dovuto collegare Campagna con Acerno.
Quanto al suo magistero, non mancò di indirizzare alla diocesi delle lettere pastorali, la prima delle quali s’intitolò “La Vera Vita” e rifletteva sull’eccellenza della visione cristiana delle cose, del tempo e dello spazio. Il senso della vita è appunto e solo nel rapporto con Dio. Altra sua lettera pastorale fu “Per un mondo migliore” una spinta al risveglio religioso e cristiano dopo i mali operati dal materialismo, ed un invito all’azione missionaria.
Forte fu la sua devozione mariana, da lui privilegiata Maria sotto il titolo di Immacolata. Ma fu ricco il suo impegno omiletico, fu attentissima la sua cura dei seminaristi, profondo e lungimirante il suo interesse per i problemi e le conquiste della Chiesa, e, infine, egli fu limpido nell’insegnamento della dottrina e della prassi cristiana. Tutto questo prova quanto autenticamente pensato e realmente vissuto sia stato il suo motto episcopale: “In fide et charitate fortitudo mea – La mia forza nella fede e nella carità”.
A partire poi dal 1940, Monsignor Palatucci tessé il suo capolavoro umano e cristiano nel rapporto con gli internati, quando nella Citta di Campagna fu istituito un campo di concentramento per gli ebrei e perseguitati politici, un’azione malvagia che disonorò il governo italiano che aveva proclamato le leggi razziali per compiacere il dittatore tedesco, non certo per un desiderio del popolo italiano. Monsignor Palatucci espresse nei loro riguardi delle particolari attenzioni e qualche agevolazione, ne riconobbe lo spessore culturale, e ottenne comprensione da parte delle autorità civili, sussidi da parte delle autorità ecclesiastiche, in questo coinvolgendo chiaramente la Santa Sede.
A questo scopo, operò anche in buona collaborazione con il nipote Giovanni, funzionario della pubblica sicurezza in servizio a Fiume in qualità di responsabile dell’ufficio stranieri, come sufficientemente altrove documentato.
Servì con preoccupata sofferenza la sua città dopo il bombardamento del 17 settembre 1943 che la colpì al cuore e lasciò in 177 morti, oltre che tanto pianto, tanta rabbia impotente e una immensa ansia di riprendere a vivere. In quella circostanza, Monsignor Palatucci non mancò di farsi presente, come e dove poté. Il Vescovo animò, incoraggiò, sostenne e si impegnò anche personalmente a dare cristiana e degna sepoltura ai morti.
Firmò la petizione a favore dell’Assunzione di Maria Vergine al cielo, poi proclamata da Pio XII il primo novembre 1950. A memoria di quella memorabile data su uno dei pilastri del pronao della Basilica di San Pietro, insieme a quello di tutti i Vescovi presenti, si può leggere anche il suo nome.
Il 31 marzo 1961, dopo essere rientrato dalla chiesa dell’Annunziata al termine della funzione religiosa in memoria della passione e morte di Gesù, come è stato scritto “il grande Vescovo e la sua anima ritornarono alla sede dell’Amore e della Luce, presentandosi dinnanzi al Signore a ricevere il premio per il suo impegno nel servizio della Chiesa e delle anime”. Morì così, mentre era seduto al tavolo di lavoro per scorrere la corrispondenza.
Fu un uomo, un cristiano e un vescovo senza aggettivi. Realizzò in pieno, la libertà di essere l’una, l’altra e l’altra cosa ancora. E se oggi v’è bisogno di alti punti di riferimento per l’interpretazione della vita, qui, in quest’uomo e in questa vita, se ne trova uno: dotto, vero, disposto e disponibile. Come umanità chiede e come Dio comanda. Il suo servizio episcopale nella diocesi di Campagna andò dal 16 gennaio 1938 al 31 marzo 1961, per la durata esatta di 23 anni, 2 mesi e 15 giorni.
Testo a cura di padre Franco Stano.

 

 

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